Proposizione /concetto proposizionale

AUTORE:> Quine

OPERA:> The scope and language of science, in "British journal for the philosophy of science", 1957, VIII, pp.1-17

FONTE:> trad. it. UTET, p. 915 e sgg.

 

La distinzione tra enunciato e proposizione o "concetto proposizionale" [nel testo tradotto: tra proposizione e "concetto proposizionale"] emerge nella fase di razionalizzazione del procedimento scientifico, successivamente alla sua elaborazione, quando si tenta di render conto di alcuni suoi aspetti caratteristici. Si suppone allora che esistano entità astratte (i "concetti proposizionali") dotate di tutta la stabilità e la precisione che il procedimento scientifico richiede e che, invece, manca nei semplici enunciati.

Immaginare entità di questa natura, finisce, però, osserva Quine, solo per rendere più oscuro l'argomento, suggerendo, inoltre, l'idea che l'oggettività del discorso scientifico deriverebbe da una qualche sua privilegiata comunicazione con un mondo impalpabile di essenze. La parte più importante dell'impresa scientifica finirebbe, così, per giocarsi sul terreno rarefatto di una realtà metafisica, universale e perfetta, al riparo dalle interferenze di un medium tanto instabile come il linguaggio, dove è, per esempio, del tutto normale che la stessa espressione significhi cose diverse (omonimia) o che espressioni diverse significhino la stessa cosa (sinonimia).

Al contrario, sostiene Quine, il pensiero, in generale, soprattutto quando sia di una certa complessità, è inseparabile dal linguaggio, sicuramente in pratica, e molto probabilmente in linea di principio.

Certo le interferenze sono un problema per lo scienziato, ma solo in relazione agli obiettivi sistematici che questi si propone; obiettivi che egli non raggiunge chiamandosi fuori dalla realtà umana e terrena del linguaggio o rivendicando un' impossibile neutralità rispetto ad esso, bensì operando delle scelte al suo interno.

Lo scienziato, in altre parole, prende decisioni che, escludendo alcune cose e fissandone altre, gli consentono di costruirsi un linguaggio nuovo, più adatto alle finalità del suo lavoro.

Ciò che egli chiede, innanzitutto, è che le verità della scienza siano vere indipendentemente dall'autore che le enuncia o dall'occasione in cui vengono enunciate.

Se le forme linguistiche del suo discorso devono godere della cercata stabilità, esse non possono fluttuare tra verità e falsità, passando da un'enunciazione all'altra, ma devono essere o decisamente vere o decisamente false.

Come ottenere forme linguistiche capaci di possedere caratteristiche di questo tipo?

Il primo passo in questa direzione consiste nell'eliminare quei termini che nella letteratura specialistica sono conosciuti come parole indicative (Goodman) o particolari egocentrici (Russell): "io", "tu", "questo", "quello", "qui", "là", "ora", "allora" e simili.

Fino a che si mantengono le parole indicative, non sono le espressioni del linguaggio, ma solo i vari eventi della loro enunciazione che si possono dire veri o falsi, a seconda degli specifici contesti in cui vengono impiegate.

Oltre alle parole indicative, nella lingua comune, vi sono molti altri aspetti che sono fonte di dubbio riguardo alla verità o alla falsità; come ad esempio ambiguità nell'uso delle parole o l'impiego dei tempi verbali (che in fondo è solo una variante delle parole indicative). I passi successivi consisteranno, allora, nell'intervenire anche su questi ulteriori aspetti.

Ma non è necessario immaginare tutti questi successivi processi di eliminazione come un effettiva rinuncia ai modi comuni di parlare. Il linguaggio scientifico, osserva Quine, in ogni caso, è una parte, non un sostituto della lingua comune.

Ciò che è necessario, è che sia possibile, in linea di principio, esprimere la scienza in una notazione libera da fluttuazioni, con un comportamento costante circa la verità e la falsità; senza metter in campo ontologie platonizzanti, ma solo in ragione dei vantaggi che per questa via si conseguono.

Uno degli obiettivi che così si raggiungono è quello di semplificare e di facilitare una sezione fondamentale della scienza, cioè la logica deduttiva.

Si considerino, ad esempio, le regole più elementari della deduzione:

dove la lettera "p" significa: qualsiasi proposizione .

Come si vede, la "p" compare due volte in ciascuna di queste regole. Se la proposizione che noi poniamo per "p" fosse vera in un caso e falsa in un altro, queste regole sarebbero del tutto infondate.

E' dunque centrale, per le leggi logiche, che la verità e la falsità siano costanti.

Con la parola proposizione intenderemo allora nient'altro che un enunciato scientifico, ossia un enunciato costruito in modo che la sua verità risulti invariabile riguardo al parlante e all'occasione.

La notazione simbolica della logica formale esalta particolarmente queste peculiarità degli enunciati scientifici: la sua ideografia prescinde completamente dai contenuti.

Essa può o scrivere "p", come abbiamo fatto prima, in riferimento a qualsiasi proposizione (enunciato scientifico), preoccupandosi unicamente di studiare le relazioni che legano "p" ad altre proposizioni analogamente considerate nella loro globalità; o analizzare queste stesse proposizioni, entrando "al loro interno" e cercando di individuarne la struttura, in modo altrettanto formale.